• Codice fiscale: 83000230777
  • Codice meccanografico: MTIC81100R
  • Telefono: +39 0835 561210
  • Email: mtic81100r@istruzione.it
  • Pec: mtic81100r@pec.istruzione.it

Lo Sviluppo Psicologico nella Preadolescenza ...

L’adolescenza è un’età difficile. Lo è per chi la sta attraversando, lo è per coloro che hanno a che fare, come genitori o come insegnanti, con dei ragazzi adolescenti e con le situazioni conflittuali che li caratterizzano. Per quanto riguarda lo sviluppo psicologico di questa fase della vita, si possono distinguere due periodi, la preadolescenza e l'adolescenza.

La preadolescenza (da poco prima della maturazione puberale fino ai 14/15 anni) che coincide con gran parte del ciclo della scuola secondaria inferiore; esso è caratterizzato da una accelerazione della crescita e dalle conseguenti risonanze psicologiche, sia sul piano intellettuale che su quello affettivo-sociale.

Il periodo successivo, l’adolescenza vera e propria, vede continuare i processi di sviluppo (fisico, intellettuale, affettivo e sociale) già avviati, ai quali se ne aggiungono altri, come quello delle scelte che si vanno profilando e dei rapporti con i coetanei dell’altro sesso. Tuttavia l’adolescente, avendo acquisito una maggiore maturità intellettuale ed emotiva, dovrebbe essere ormai in grado di gestirli.

Quello che caratterizza fortemente quest’età è la presenza di “situazioni conflittuali”. Si può trattare tanto di conflitti interpersonali (con genitori, insegnanti, coetanei) quanto, con una più estesa presenza, di conflitti intrapsichici, ovvero quelli che si manifestano all’interno della persona, quando due forze psicologiche pari agiscono in direzioni opposte (K.Lewin). Tale compresenza di forze opposte si verifica quando il ragazzo deve scegliere tra due alternative, tra due situazioni diverse, o in una stessa situazione che sia ambivalente, cioè che abbia aspetti positivi e negativi. Generalmente il conflitto interpersonale si traduce in conflitto psichico e spesso, in tali casi, è difficile riconoscere quali siano le due forze contrapposte.

Queste situazioni conflittuali assorbono una certa quantità di energia psichica, la quale non è più disponibile per altre attività. Per questo, a quest’età, si assiste spesso a una caduta dell’impegno nello studio, a una diminuzione della capacità di concentrarsi e di sostenere sforzi prolungati, o anche a un calo dell’interesse per i contenuti disciplinari. Questo mette in evidenza la necessità di PREVENIRE la formazione di quei conflitti che non costituiscono uno stimolo per lo sviluppo, ma sono “educativamente sterili”. È una necessità a cui dovrebbero far fronte le famiglie e la scuola.

Sarebbe opportuno, invece, suscitare altri conflitti intrapsichici, quelli che, pur assorbendo energie, costituiscono un punto di passaggio obbligato per lo sviluppo della personalità, nella forma di acquisizione di nuove abilità o di nuove consapevolezze sul piano dei valori o dei grandi problemi sociali. 

 Ciò può verificarsi , quando un ragazzo si sente sollecitato ad elevare il proprio livello di aspirazione in una certa area della propria attività (il conflitto tra la voglia,per esempio, di imparare a suonare uno strumento e la consapevolezza dell’impegno che questo richiede). Lo stesso accade se un ragazzo viene posto di fronte a qualche problema sociale di grande portata (razzismo, povertà, culture diverse, inquinamento) e viene stimolato a prendere posizione; dovrà lavorare per analizzare questi aspetti della realtà, ma questo gli consentirà di raggiungere un livello di più alta consapevolezza. 

Chi è in una situazione conflittuale non coglie le forze in conflitto, ma avverte un senso di disagio, di tensione, di irrequietezza, talvolta di ansia; non sa cosa fare, che decisione prendere, si sente schiacciato, oppresso, spesso avverte un senso di spossatezza, una carenza di energia. È compito dello psicologo o dell’insegnante (con una adeguata preparazione psicologica) aiutarlo a prendere consapevolezza della situazione conflittuale. Tale presa di coscienza consentirà al ragazzo di gestire bene il conflitto e superarlo in modo soddisfacente per sé e per gli altri. 


EFFETTI DIRETTI E INDIRETTI DELLA CRESCITA CORPOREA

Con la preadolescenza inizia un periodo di rapide trasformazioni del corpo che hanno ripercussioni , sia dirette che indirette, di cui un insegnante non può non tener conto. Fra quelle dirette, un modo sgraziato di muoversi, che porta il ragazzo a urtare facilmente oggetti e compagni, a concorrere a quella rumorosità fastidiosa che, per gli adulti, può sembrare una mancanza di rispetto, ma che è dovuta all’incapacità del sistema nervoso di controllare la massa muscolare e ossea divenuta improvvisamente più grande. Un’altra ripercussione diretta è un certo imprigionamento mentale, una sorta di compensazione alla crescita fisica rapida. 

 Le ripercussioni indirette sono le situazioni conflittuali (inquietudine,tensione,ansia) derivanti dalla percezione del proprio sviluppo fisico. Non vi è nessuno che risulti totalmente soddisfatto del proprio aspetto. I ragazzi sono di fronte a situazioni che provocano preoccupazione e sofferenza: il desiderio di essere diversi da come si è, rappresenta una forza propulsiva, ma la consapevolezza della difficoltà del cambiamento, si contrappone costituendo una forza costrittiva che innesca un conflitto psichico. A questi conflitti sono riconducibili alcuni diffusi disturbi alimentari di origine psicologica (anoressia, bulimia).

Si tratta di situazioni conflittuali che dovrebbero essere prevenute con conversazioni su questi temi , per sdrammatizzare problemi personali vissuti come “terribili”. Anche la maturazione puberale è una trasformazione importante che, direttamente, causa una serie di disturbi fisici e psicologici collegati, per le ragazze, al flusso mestruale e, indirettamente, a sentirsi, quando sono in tale situazione, in uno stato di temporanea menomazione, non controllabile, che le porta a sfuggire gli sguardi dei coetanei. Anche per i ragazzi le manifestazioni dello sviluppo, anche se non così improvvise, possono causare imbarazzi e timori. 

È proprio la presenza di situazioni emotive collegate alla maturazione puberale e alle pulsioni sessuali che influenza la crescita nel periodo adolescenziale, durante il quale il ragazzo tende a liberarsi definitivamente del complesso di Edipo, trasferendo i propri investimenti emotivi su persone esterne alla famiglia, con una svalutazione dei genitori, che aiuta il distacco; è un svalutazione solo temporanea perché verso i 18 anni c’è un riavvicinamento.

Nel momento del distacco, si vivono sensi di colpa, ansia e conflitti, causati spesso da reazioni inadeguate dei genitori a questo atteggiamento svalutativo dei loro figli. Anche il riemergere delle pulsioni sessuali, siano esse autocentrate o etero centrate sono spesso causa di tensioni, ansie e conflittualità. Tutto ciò può essere un problema per l’esperienza scolastica, se determina una caduta dell’impegno nello studio. Molti ragazzi, prima allievi modello, diventano svogliati, sembrano stare tra i loro banchi solo con il corpo e vagare con il pensiero fuori della scuola. È accaduto che i problemi collegati alla crescita hanno assorbito una buona parte dell’energia che essi utilizzavano nello studio. Questa caduta dell’impegno, per l’insegnante è un problema non facile, rende necessaria una corretta impostazione dell’attività didattica e una grande attenzione alla qualità dei rapporti che egli stabilisce con gli allievi.


LO SVILUPPO INTELLETTUALE E I SUOI RIFLESSI NELLA SCUOLA

Per affrontare in modo adeguato il problema dello sviluppo intellettuale, occorre precisare cos’è l’intelligenza e di quali strumenti si serve.

L’intelligenza è la capacità di costruire una struttura coerente, partendo dai dati della conoscenza (capacità di capire): i dati vengono collegati in modo organico, sostenendosi e complementandosi a vicenda. L’intelligenza è anche la capacità di risolvere problemi: capacità, cioè, di cambiare la situazione d’insieme con nuovi dati per ottenere una struttura che risulti più adeguata. 

L’intelligenza si sviluppa, passando dalla capacità di capire e risolvere cose semplici, fino ad arrivare a quelle difficili. Questo sviluppo non è una linea retta, ma con “tre gradini”, ogni gradino è l’emergere di un capacità mentale nuova e molto generale, che riorganizza la nostra attività cognitiva. Il primo gradino (18 mesi) è la “capacità rappresentativa”, il secondo (5-7 anni) è il pensiero “reversibile”, l’ultimo (11-13 anni) è la capacità di ragionare per ipotesi. Tra un gradino e l’altro ci sono i periodi in cui queste conquiste vengono applicate a situazioni via, via, più complesse per creare le condizioni che rendono possibile un nuovo balzo.

Nella scuola secondaria inferiore l’intelligenza del ragazzo compie l’evoluzione verso il “pensiero ipotetico-deduttivo” (soluzione dei problemi) e il “pensiero complesso” (strutturazione di fatti diversi che si coordinano e influenzano tra di loro per giungere ad un certo esito).

È molto importante che gli insegnanti, di allievi preadolescenti e adolescenti, conoscano bene le caratteristiche del pensiero ipotetico-deduttivo e il ruolo che in esso ha la “rappresentazione di situazioni possibili”, non solo perché ne devono favorire lo sviluppo e il rafforzamento, ma anche perché la sua acquisizione ha molteplici riflessi sull’ambito della scuola, i più rilevanti sono sei:

1. L’accesso a contenuti più complessi. Lo sviluppo del pensiero ipotetico-deduttivo apre l’accesso a contenuti di maggiore complessità, che non erano precedentemente alla portata degli allievi. In ogni disciplina si possono trovare queste situazioni , in cui occorre porre in rapporto tra di loro diverse situazioni ipotetiche esprimibili con dei “se” o con dei “se non”, oppure dei “ma se”.

2. Induzione e deduzione, sperimentazione e previsione. L’acquisizione della capacità di ragionare per ipotesi (ovvero per eventi assunti come “possibili”) e di coordinare più ipotesi, pone un ragazzo in grado di progettare e condurre, in modo tecnicamente rigoroso, esperimenti volti a scoprire eventuali rapporti di dipendenza fra più eventi o fra più aspetti dello stesso evento. Progettare un esperimento, infatti, significa anzitutto immaginare (induzione), a proposito di un certo fenomeno, le variabili indipendenti che potrebbero influenzare l’andamento, prevedere (deduzione) le possibili combinazioni di variabili e, per ciascuna combinazione, i possibili esiti. Queste “sperimentazioni” riguardano in questo periodo anche i rapporti sociali, l’amicizia, la socialità, la capacità di suscitare l’interesse del gruppo.

3. Lo sviluppo di interessi epistemiciUn terzo riflesso dell’acquisizione del pensiero ipotetico ( e del pensiero complesso) consiste nel fatto che, accanto all’interesse per problemi che possiamo definire “esplicativi” (il problema di capire come e perché si è verificato un fatto), compare un interesse nuovo per problemi “epistemici” i quali riguardano il modo in cui gli uomini sono venuti in possesso di certe conoscenze. Non è un caso che in questo periodo molti ragazzi sviluppano interesse per l’archeologia o l’astronomia, per i metodi e le apparecchiature di cui si servono i loro cultori e per la letteratura di tipo poliziesco. In questi casi vengono in primo piano i ragionamenti ipotetico-deduttivi , che consentono di scoprire nuove conoscenze da indizi già a disposizione. Questi interessi arricchiscono l’orizzonte culturale e possono fiorire se vengono alimentati da insegnanti sensibili e ben preparati.

4. Il desiderio di discutere. Si fa vivo nei ragazzi, soprattutto in quelli più dotati, con maggiore autonomia intellettuale, il desiderio che gli insegnanti diano la dimostrazione ragionata delle loro affermazioni. Si manifesta l’interesse per la discussione, nell’ambito della quale manifestare idee e vederle prese in considerazione. Vi sono insegnanti, o familiari, non disposti a discutere alla pari con i ragazzi, vuoi perché non riconoscono l’importanza di questi momenti, vuoi perché incontrano difficoltà nel gestire la discussione. Questi contrasti possono causare incomprensioni e conflitti, tanto nell’ambito scolastico quanto in quello familiare.

5. La "marginalità psicologica volontaria.

Un importante riflesso dell’acquisizione delle nuove abilità mentali è il crescente desiderio di un adolescente di compiere delle esperienze dirette, in prima persona e in piena autonomia, nei vari ambiti della realtà e di valutarne i risultati “con la propria testa”. Questo atteggiamento si manifesta, anzitutto, in famiglia. Un ragazzo desidera assumere nei confronti dell’atmosfera familiare una posizione di “marginalità”, il desiderio di uscire e di vivere esperienze fuori casa, da solo o con amici, per poi rientrare nell’atmosfera familiare, per ritrovarvi un senso di sicurezza, se le nuove esperienze hanno generato ansia. Questa voglia di stare un po’ fuori e un po’ dentro può verificarsi anche nei confronti della scuola, ciò accade, in particolare, per ragazzi con interessi culturali più sviluppati e con maggiori capacità di iniziativa che, partendo da stimoli scolastici, approfondiscono per conto loro, riportando poi a scuola il risultato del proprio lavoro. È importante che l’insegnante scopra e utilizzi queste marginalità culturali volontarie, perché ciò è positivo per l’allievo, che vede riconosciuta da altri la proprio attività, e per i compagni, ai quali si apre la prospettiva di attività extra-scolastiche utili e possibili nelle quali impegnarsi in modo personale.

6. Progettare il proprio futuro. Un ultimo riflesso, che l’acquisizione del pensiero ipotetico può avere, è un accrescimento della capacità degli allievi di elaborare dei programmi di lunga durata e , in particolare, di progettare il proprio futuro. Questi progetti per il futuro danno luogo ad una terza marginalità volontaria (dopo quella nei riguardi della famiglia e della scuola), che potremmo chiamare “decisionale”. Un adolescente si immagina già “dentro” una certa situazione e così la vive sul piano cognitivo ed emotivo anche se è consapevole che ne è ancora fuori, che non ha ancora deciso.La maturazione del pensiero ipotetico, con tutti questi riflessi che ha nella vita scolastica, familiare e personale, crea quegli interessi, quella voglia di autonomia, quella voglia di discutere, che atteggiamenti autoritari e non autorevoli possono far sfociare in conflitti, in risentimenti, sia a scuola che in famiglia. Tutto ciò assorbe energie, sottratte all’impegno scolastico,inoltre, a minare la serenità del ragazzo, si aggiungono anche altre tensioni dovute al rapporto con i compagni e alla formazione del senso di identità.


LE AMICIZIE GIOVANILI

Compagni e amici sono stati sempre presenti nella vita dei ragazzi, ma erano insegnanti e genitori il punto di riferimento fondamentale per loro, ora queste figure perdono importanza a favore del gruppo dei coetanei.

Quali sono le ragioni di questo cambiamento?

Da un lato, il bisogno di autonomia dagli adulti : il sostegno dei compagni diventa un punto di appoggio fondamentale per la sua realizzazione. Dall’altro, può accadere che questo bisogno di autonomia deteriori il rapporto con i genitori e gli adulti: il gruppo dei coetanei diventa un rifugio dove si può discutere con gli altri in condizione di parità. 

I gruppi di coetanei possono avere una modalità di formazione non volontaria (il gruppo classe),semivolontaria (gruppi scout di azione cattolica o altri gruppi di volontariato giovanile) o totalmente volontaria, (dalla coppia di amici , alla banda). Il gruppo di interesse preminente per l’insegnante è il gruppo classe, ma gli altri gruppi a cui il ragazzo appartiene possono rilevare anche a scuola. 

Il gruppo classe può apparire coeso ad una prima osservazione, ma, ad una più attenta analisi, al suo interno si possono notare gruppetti di varia origine e allievi isolati. Questa percezione può essere soggettiva, quindi poco realistica, per questo la psicologia ha messo a disposizione strumenti sociometrici (Moreno), che ci aiutano a cogliere la strutturazione del gruppo classe e, anche, la percezione che i singoli alunni hanno della loro posizione all’interno del gruppo. Questi strumenti, pur con qualche cautela, possono essere utilizzati dagli insegnanti. Possono aiutare a individuare i soggetti “popolari”, quelli “isolati”, quelli “rifiutati” e la eventuale presenza di “sottogruppi” in posizione antitetiche tra loro. La conoscenza di queste dinamiche può essere utile agli insegnanti: per ottenere attraverso gli allievi popolari più facilmente il consenso del gruppo; per aiutare gli allievi in posizione di isolamento (attribuendogli responsabilità e enfatizzando i contributi positivi); per predisporre interventi , nel caso di allievi rifiutati, e scoprire la causa del rifiuto, distinguendo i casi in cui è originata da comportamenti dell’allievo (prepotenza, arroganza, presunzione, egoismo), da quelli dovuti agli atteggiamenti degli altri (pregiudizi, scarsa conoscenza). Il sociogramma può essere anche utilizzato per scoprire se la “percezione sociale” che l’alunno ha di sé è corretta o distorta. 


Gli adolescenti possono incontrarsi in associazioni e gruppi giovanili ad adesione “semivolontaria”(es. scout, azione cattolica, gruppi volontariato). Possiamo definirla tale perché, spesso, la partecipazione è causata da pressioni degli adulti, genitori o altri, e, nello stesso gruppo, la presenza di adulti si fa largamente sentire. Per questo motivo, verso i 13-14 anni, quando aumenta la voglia di indipendenza dagli adulti e di autonomia nei rapporti tra i compagni, si registrano frequenti uscite da tali organizzazioni. Questi gruppi, pur se esterni alla scuola, possono essere interessanti per gli insegnanti : perché in esse vengono promossi valori che anche la scuola ha il compito di promuovere; perché, nel loro ambito, vengono compiute esperienze concrete, di cui a scuola si potrà parlare per stimolare discussioni, approfondimenti, ricerche. 

I gruppi a formazione interamente volontaria sono situazioni in cui il ragazzo può scegliere liberamente i coetanei con cui stare e contribuire a elaborare le norme della vita del gruppo: 

a) L'amico del cuore  

Il rapporto a due è un’esperienza che coinvolge la quasi totalità delle ragazze e numerosi ragazzi. L’amico del cuore è, di solito, dello stesso sesso. L’amicizia (che si rinsalda per le ore trascorse insieme) si fonda su tre elementi essenziali, “la confidenza reciproca” (all’amico si racconta tutto, problemi, esperienze, speranze e si ascolta tutto ciò che racconta) la “discrezione” (la certezza che nulla sarà raccontato ad altri) e “l’esclusivismo” ovvero l’esigenza che l’amico non abbia altri “amici del cuore”. Le prime due caratteristiche permangono per tutta l’adolescenza. La terza si attenua con la progressiva maturazione, nel senso che un adolescente accetta che l’amico si inserisca in una rete di amicizie più ampia. Generalmente i due soggetti hanno la stessa età e, discutendo con l’amico, ognuno impara a capire se stesso, i propri interessi, i propri punti di forza, i propri limiti.

L’amico, avendo aspetti della personalità in parte diversi, diventa complementare, aiuta a crescere, per la tendenza a fare proprie certe qualità positive dell’altro. Quando invece vi è differenza di età, oltre ai motivi già indicati, se ne aggiungono altri: il più grande può diventare modello, fungere da “apripista” o avere la funzione di protezione. L’amico del “cuore” può cambiare nel tempo per ragioni varie, questo svela che la preadolescenza e l’adolescenza sono periodi di “sperimentazione” caratterizzati dal desiderio di provare e riprovare, perché spesso si vivono delusioni e occorre ritentare la prova. Insegnanti e genitori devono essere consapevoli delle importanti funzioni che questo tipo di amicizia svolge nella crescita psicologica e sociale degli allievi, possono anche servirsi dell’aiuto dell’amico per ottenere risultati su quello dei due che è meno accessibile.

Bisogna rispettare il rapporto amicale e evitare giudizi svalutativi drastici che potrebbero causare distacco dal genitore (per dimostrare solidarietà con l’amico svalorizzato). Questo non significa che genitori e insegnanti non possono esprimere, con tatto, con calma e gradualità, le loro impressioni, per aiutare il ragazzo a sviluppare un’immagine più realistica dell’amico. 

b) La banda e il club. Il gruppo a formazione volontaria più ampio è, per i ragazzi, la “banda” e, per le ragazze, il “club”.
La banda , un’esperienza molto diffusa tra i ragazzi, è di solito monosessuale, spesso è condizionata spazialmente: si tratta di ragazzi dello stesso caseggiato, dello stesso rione che si incontrano, stabiliscono un punto di ritrovo, per programmare attività di carattere esplorativo e competitivo. Essere in tanti dà maggiore coraggio nell’affrontare situazioni nuove, può anche renderle meno pericolose, perché la presenza di competenze diverse fa cogliere più facilmente i potenziali pericoli. La banda è spesso formata da ragazzi che appartengono a ceti sociali diversi , così si ha anche l’occasione di sperimentare ambienti con caratteristiche socioculturali e lavorative diverse dal proprio ambiente familiare. Ovviamente le attività della “banda” sono più intense nei periodi di vacanza e nella bella stagione, mentre si riducono nel periodo scolastico e invernale.

Anche il “club” è su base residenziale ed è socialmente eterogeneo, ma le attività svolte sono più tranquille: si discute della crescita, delle esperienze, dei comportamenti degli adulti, della cura del corpo. L’esperienza del “club” è più breve, perché le ragazze maturano prima (in media 2 anni) e fanno perciò, prima dei loro coetanei, il loro ingresso nella formazione sociale successiva “la compagnia”. Questi contesti sono rilevanti per gli insegnanti, perché permettono di vivere esperienze che possono essere riportate in classe, fornendo spunti di conversazione e, viceversa, la scuola può fornire suggestioni che possono essere riprese nell’attività di una banda e di un club. Può essere importante, a quest’età, proporre libri che parlino delle avventure e esperienze dei gruppi , per l’interesse che suscitano negli allievi e per aiutarli ad analizzare la situazione che stanno vivendo. 

c) La compagnia. È questa la formazione tipica dell’adolescenza , più del 90% dei ragazzi ha vissuto una o più volte quest’esperienza. Qui vi sono ragazzi e ragazze con una provenienza sociale più omogenea. Una compagnia ha, di solito, precisi luoghi di ritrovo ed è spesso ben visibile ; sono ragazzi e ragazze che, in gruppo, se ne stanno fermi, impegnati in discussioni e conversazioni o, sempre insieme, si spostano per raggiungere altri luoghi. Può accadere che un adolescente abbia più compagnie, una del periodo scolastico, una del luogo di villeggiatura abituale.

 L’attività predominante, in questo gruppo sociale, è la conversazione su temi vari , per soddisfare un primo fondamentale bisogno: quello di ascoltare, osservare e conoscere i comportamenti del gruppo, soprattutto quelli dei componenti dell’altro sesso. La partecipazione alla vita della compagnia, infatti, permette di affinare la capacità di stabilire rapporti con l’altro sesso e di provare a sperimentarli a vario livello, dalla battuta scherzosa, al rapporto cameratesco e al corteggiamento.

un secondo bisogno è quello di mettersi alla prova nelle situazioni sociali, per verificare quali abilità sociali si posseggono, se si è capaci di catturare l’attenzione altrui, di persuadere gli altri, di difendersi e di capire come possono reagire gli altri. Nelle compagnie può nascere anche un rapporto sentimentale, si può formare una “coppia fissa”, in questo gruppo sociale infatti si vive solitamente la prima esperienza di coppia o di innamoramento. Per un insegnante può essere molto utile conoscere le caratteristiche generali delle compagnie adolescenziali, in quanto in esse prende forma e viene continuamente rielaborata la “cultura adolescenziale”. Elemento essenziale di tale cultura è la musica, ma anche i film, alcuni libri, certi modi di porsi nei confronti degli adulti o delle ideologie politiche, o anche l’uso di sostanze psicotrope che possono andare di “moda”. Se l’insegnante dimostra conoscenza e interesse per certi elementi delle culture giovanili, gli allievi lo sentono meno lontano, più attento ai loro bisogni. 

Nel gruppo, nelle amicizie, un ragazzo può trovare sostegno e rassicurazione, ma i rapporti con i pari possono essere anche motivo di tensione, perché possono provocare situazioni conflittuali interpersonali e intrapsichiche. Nel rapporto tra “amici del cuore” si sviluppano incomprensioni e delusioni ; nel gruppo più ampio possono nascere antipatie e gelosie, si può avvertire il timore di non essere accettati o il desiderio di ricoprire ruoli più importanti, la paura di “non essere considerati” che fa ritenere di non valere nulla. Questo può indurre all’abbandono di un gruppo per avvicinarsi ad un altro. Anche in questo senso l’adolescenza si presenta come periodo di sperimentazione. 

Coloro che entrano in un gruppo già esistente e omogeneo, per quanto riguarda valori e atteggiamenti, sentono “la pressione del gruppo” e tendono a conformarsi per il timore di non essere accettati, di apparire diversi e di essere emarginati. Nel gruppo però si possono presentare anche minoranze coese o singoli membri influenti, che possono indurre mutamenti negli atteggiamenti. Di solito la curva del conformismo è discendente, molto forte all’inizio, lascia il posto a una tendenza opposta, quella di assumere, dentro al gruppo, un atteggiamento originale, personale, che diversifichi dagli altri. 


Lo studio delle dinamiche del gruppo può essere vantaggioso per l’insegnante. Se non si pone frontalmente in opposizione ad esso, può riuscire, grazie alla qualità dei rapporti personali stabiliti con gli allievi che sono “popolari” , a suscitare facilmente maggiore motivazione allo studio, più partecipazione alla vita di classe e può modificare atteggiamenti non positivi o correggere opinioni diffuse, ma erronee. 


LA FORMAZIONE DELL'IDENTITA'

 Durante la preadolescenza e l’adolescenza il ragazzo deve effettuare molte conquiste importanti, deve acquisire il pensiero ipotetico, l’autonomia nei confronti dei genitori, superare il complesso di Edipo, socializzare con i coetanei, interiorizzare norme e valori di portata universale e, importantissimo compito, portare a compimento il processo di formazione dell’identità. Due sono gli aspetti di questo processo, da un lato “l’identità” nel senso di ciò che ci rende unici, diversi ; dall’altro “il senso di identità”, ovvero ciò che l’individuo pensa di essere. Non è detto che tra i due aspetti vi sia coincidenza, anzi, vi possono essere anche stati patologici di discrepanza (deliri di grandezza o depressione). 


L’identità di un preadolescente è il risultato di una serie di componenti che interagiscono tra loro. Le sue capacità di base, le sue conoscenze, le sue abilità specifiche, gli atteggiamenti e i valori a cui si ispira, l’insieme dei rapporti affettivi che ha stabilito con persone, animali, luoghi, il modo personale in cui affronta le situazioni e le persone, sono le componenti dell’identità che coincidono con la “personalità”. Il processo di formazione comincia già nella prima infanzia, ma di grande importanza è il periodo adolescenziale. Gli insegnanti possono concorrere alla formazione dell’identità, fornendo conoscenze e abilità, suscitando interessi, promuovendo l’assunzione di atteggiamenti e valori, quali quelli di ascolto ed “empatia” cioè della capacità di cogliere e condividere lo stato d’animo degli altri, le loro difficoltà, le loro emozioni.

Per quanto riguarda la formazione dellidea di sé possiamo prendere in considerazione tre fasi: 

a) Un’idea di sé solo “vissuta” e ancora frammentaria. È il periodo dell’infanzia e della fanciullezza, quello che MAHLER chiama “nascita psicologica” e si manifesta con la testardaggine , l’opposizione, che rafforza nel soggetto l’idea di avere una volontà propria; prosegue con il confronto con gli altri, in varie situazioni, in cui il bambino acquista la consapevolezza di avere certe qualità e non altre, qualità vissute in modo “sparso” che, ancora, non compongono un’immagine unitaria di sé e che nascono da attività e da esperienze proposte dagli adulti.

b) Un’idea di sé “cercata”. Nella seconda fase, quella della preadolescenza, il ragazzo ha un ruolo attivo nella ricerca di esperienze in cui mettere alla prova se stesso e confrontarsi con gli altri.

c) Un’idea di sé “riflessa”. 

Il ragazzo nella fase dell’adolescenza vera e propria è impegnato a elaborare un’immagine unitaria di sé che acquista anche una dimensione temporale, sia in direzione del passato che in quella del futuro. Mentre un bambino vive nel presente e in un futuro vicino, l’adolescente riflette sulle esperienze del passato e si proietta in un futuro di possibilità, di autorealizzazione, collegandolo a condizioni che già adesso sono presenti o è necessario cominciare a creare. L’idea di sé acquista anche una dimensione sociale, il ragazzo si vive come parte di un gruppo o di una certa categoria e, se vi è partecipazione a più gruppi, l’idea di sé può essere caratterizzata da dissonanza e conflittualità, se fra i due gruppi vi è contrasto. 

Nella formazione dell’idea di sé gli insegnanti possono dare un contributo essenziale. Osserviamo i tre principali fattori della formazione del senso di identità: 

a) Giudizio della realtà. 
Un bambino, un adolescente, ogni volta che intraprende un’attività che richieda una certa abilità, riceve dalla realtà un giudizio sul grado in cui possiede l’abilità richiesta. L’insegnante può far sì che ci siano numerose e varie situazioni in cui è il risultato stesso a fornire un giudizio; il ragazzo deve poter capire da solo se ha fatto bene o se ha commesso errori e, in questo caso, dove e quanto ha sbagliato.

b) Il giudizio degli altri. 
I ragazzi , da genitori e insegnanti , ricevono continuamente giudizi su ciò che sono o sanno fare , nell’adolescenza e preadolescenza queste valutazioni si sommano a quelle dei coetanei.
I giudizi, talvolta, si cristallizzano in nomignoli che sottolineano difetti fisici o tratti della personalità poco lusinghieri e questo può provocare sofferenza, anche perché la loro conoscenza è spesso indiretta, riferita da amici. I giudizi degli adulti hanno un grande peso e, proprio per questo, spesso possono essere rigettati perché ritenuti ingiusti o inaccettabili. Gli insegnanti frequentemente formulano consapevolmente ed esplicitamente giudizi, ma, ancora più spesso, lo fanno in modo inconsapevole ed implicito, attraverso comportamenti di ascolto e rispetto o, viceversa, di noncuranza e di svalutazione. L’insegnante deve prendere coscienza di ciò e guardarsi da due possibili pericoli. Il primo è quello di dare solo“ connotazioni negative” causando nell’allievo depressione, frustrazione. Pur non tacendo gli aspetti negativi della personalità, bisognerebbe mettere in luce anche quelli positivi, che spesso vengono alla luce solo se c’è la volontà e la disponibilità individuale. Il secondo pericolo consiste nel dare al giudizio un“ carattere etichettante”, il carattere di una sentenza definitiva. Questo tipo di giudizio non stimola il ragazzo a migliorarsi, a cambiare, e può causare rassegnazione e depressione. È allora necessario dare un tono dinamico (anche semplicemente aggiungendo un “ancora”), occorre rilevare il problema, ma dare le indicazioni su come lavorare per colmare la carenza. 

c) Il ruolo dei modelli. 
Il terzo importante fattore di formazione dell’idea di sé sono i modelli, con i quali il preadolescente cerca di confrontarsi. Quand’era bambino il modello era uno o entrambi i genitori, a quest’età può essere un amico, un insegnante, un attore, un campione sportivo o anche personaggi incontrati in romanzi. “Commisurarsi” al modello implica un confronto che richiede l’analisi di ciò che si è, delle proprie qualità e dei propri difetti. Il confronto può diventare qualcosa di più profondo, un tentativo di “identificazione” cioè il desiderio di essere in tutto e per tutto come il modello, sia imitandone gli aspetti esteriori (vestiti, acconciature, modo di parlare), sia quelli interiori (modo di pensare e di valutare la realtà). Può accadere che un adolescente scelga più personaggi passando dall’uno all’altro.
Possiamo distinguere due tipi fondamentali di adolescenti (con infinite possibilità intermedie). 

Nella prima categoria potremmo includere gli adolescenti che avvertono l’esigenza solo di adattamenti di breve portata, limitati all’ambiente in cui vivono e al futuro di breve e medio termine. Essi sono molto concreti, guardano alle possibilità di lavoro, alla famiglia, agli amici, alla formazione di una famiglia propria.

All’estremo opposto abbiamo adolescenti che guardano ad adattamenti di larga portata, che sviluppano un’immagine di sé in cui entrano come componenti, oltre agli aspetti più vicini, anche la vita considerata nelle sue forme più generali , secondo dimensioni temporali che si estendono molto lontano nel passato e nel futuro. Essi sentono il bisogno di prendere una posizione personale nei confronti dei problemi politici, culturali, religiosi e sociali, di “fare i conti” con movimenti ed ideologie passate e presenti. Vogliono conoscere, attraverso le loro opere, le grandi personalità della cultura. Assumono posizioni di marginalità culturale volontaria, partecipano a discussioni in cui sono capaci di argomentare e difendere le proprie idee, sono più sensibili a quanto accade nel mondo. Tendono molto ad analizzare se stessi e le esperienze che vivono. 

Fra gli adolescenti di questa categoria (che più esattamente non è altro che l’estremità di un continuum) possiamo fare un’ulteriore distinzione. Ci sono adolescenti che si limitano a trovare le loro risposte aderendo ad una concezione della vita che viene loro prospettata (un’ideologia politica, una visione religiosa scelta tra quelle più diffuse nel loro ambiente). Ci sono altri adolescenti che hanno, invece, un atteggiamento più attivo, più personale, tentano di elaborare autonomamente le proprie posizioni, hanno un approccio più critico nell’affrontare il mondo dei fatti e dei valori, sviluppano idee originali.